L’Italia è una repubblica democratica fondata sul più furbo.
Il furbo può contare sull’assenza del controllo, sulla testa voltata dall’altra parte, sul benaltrismo, sul “non mi riguarda”, sulle differenze di trattamento, sul poter fare quello che vuole, finché gli va bene. Rispettare le regole, in questo Paese, è tafazziano.
Parto dalla questione che mi riguarda più da vicino.
La cultura non conta niente. Non conta a livello di opinione pubblica e nemmeno a livello economico. È talmente irrilevante che si chiudono cinema e teatri e centri culturali, senza possibilità e contemporaneamente si chiudono gli impianti sciistici, ma solo in attesa che la Conferenza delle Regioni preveda i protocolli di sicurezza. Il sottotesto è chiaro: lo sci porta denaro, teatro e cinema non abbastanza. È illogico? Si. È penoso? Si.
Essenziale non significa solo essenziale alla vita, ma che muove abbastanza denaro. Troverete mille persone che si incazzano per l’assenza dello spritz o perché non possono fare la corsetta o giocare a calcetto, ma nessuno per la chiusura di un teatro.
Preciso: per come siamo messi oggi, molte cose sono inevitabili.
La matematica non è un’opinione, l’andamento delle curve è drammatico.
La percentuale dei positivi cresce del 50% a settimana. Da due settimane la crescita delle intensive ha un rapporto di 1.6. La soglia critica dei 2300 è vicinissima
Ma la sensazione è che siamo arrivati tutti lunghi, governo centrale, regioni, in molti casi anche i comuni.
Credo che il governo abbia fatto un ottimo lavoro nella gestione dell’emergenza a febbraio-marzo e che, dalla riapertura a oggi, governo, regioni e comuni si siano impegnati in una gara a chi era meno lungimirante, circondati spesso (o complici) da cittadini convinti che tutto fosse finito, che ci fosse una normalità a cui tornare, che in fondo è una roba per vecchi (e che crepino, basta che non siano i genitori).
Di questa roba si muore e pure male. Tutti.
Di questa roba ci si ammala e si sta da cane, con conseguenze che possono durare per tutta la vita.
È una pandemia, non un pranzo di gala e quella resta anche se ci fa schifo o siamo stanchi.
Mettiamocelo in testa, poche puttanate.
Resta però il fatto che la logica di azione purtroppo è la solita.
Non sono in grado di controllare, quindi chiudo.
E così gente che ha speso soldi, applicato protocolli, garantito la sicurezza dei suoi clienti anche a costo di perderne, si ritrova nella stessa situazione di chi ha continuato ad ammassare gente e tavoli, magari facendo entrare senza mascherina e non portandola lui stesso.
E non diciamo che sono pochi, perché non è vero, lo sappiamo tutti. D’altra parte quanti locali danno da bere ai minorenni? Quanti chiedono i documenti? Non sono un poliziotto, dicono. Vero, ma sei un essere umano o un registratore di cassa? Garantire la sicurezza dei tuoi clienti non è come evitare di servire cibo o bevande avariate?
Chi governa un comune conosce i luoghi critici e ha il potere di reprimerli. È stato fatto? È così impossibile sigillare (sigillare!) il furbo e far fare il suo lavoro agli altri?
Non bastano le forze dell’ordine per fare controlli? Avremmo dovuto lavorare su quello. Da tempo.
Ammesso che ci sia mai stata davvero la volontà di controllare.
Ora mi auguro almeno che i ristori coinvolgano tutti i settori, che i controlli diventino rigorosi, che i soldi che devono arrivare arrivino subito.
E, a proposito, non sarebbe stato meglio ragionare prima di ristori e poi di chiusura?
Lo dico con chiarezza, se in questi mesi chiuderà qualcuno che ha fatto il furbo non piangerò nemmeno una lacrima. Se chiuderà chi si è fatto il mazzo o un cinema o una compagnia teatrale, per colpa di azioni cieche, ignoranti e superficiali, sarà una tragedia.
Fino a qualche settimana fa si ragionava di allargare il pubblico allo stadio.
Era grottesco allora e oggi è proprio demenziale.
Ma dà l’idea della consapevolezza o dello sguardo sul mondo.
Appena la soglia dei contagi è salita abbiamo perso la capacità di tracciarli e cominciato a ragionare di esaminare solo sintomatici e congiunti.
Serve gente per fare il tracciamento, dicono. E lo scopriamo ora? E come pensiamo di fare se non interrompiamo le catene di contagio?
I trasporti pubblici sono in una condizione schifosa da quando andavo al liceo, trent’anni fa. Eppure c’è chi dice che va tutto bene e sono sicuri.
La scuola naviga nel marasma (prevedibile pure quello) che conosciamo. Ma i bambini non si ammalano e non contagiano, vero? Ah, si?
L’app di tracciamento ha un problema di lavorazione umana dei dati che la rende quasi inutile. Perché non si è seguito il consiglio di chi l’ha realizzata?
I tempi per i tamponi sono esplosi, con gioia dei privati. I drive through costringono in molti casi a code mostruose (ma a Milano si poteva pensare che solo 3 fossero pochi?)
E a proposito: se si accredita un laboratorio privato, perché non si tiene buono l’esito del test e si costringe il cittadino a rifarlo?
Per l’ennesima volta in questa storia mi trovo a pensare che la questione sia principalmente “consuma, lavora e cerca di restare vivo”, con le prime due in pole position e la terza delegata alla tenuta degli ospedali e, soprattutto, al nostro comportamento di singoli.
Così, magari, smettiamola con la menata che siamo tutti bravi e seguiamo le regole, racconta di un Paese che non è l’Italia. Basta andare in giro.
Smettiamola di dire che ci si contagia in casa. Lo porta il postino?
Smettiamola di pensare che non ci riguardi tutti, di essere esentati dalla responsabilità individuale.
Smettiamola di pensare, soprattutto, che esista un prima e un dopo.
Esiste un adesso. Qui e ora, questa è la nostra vita.
Preservare la nostra salute e quella di chi ci sta vicino, anche se è un estraneo. Smettere di battere i piedi, pretendere serietà, analisi, sicurezza dal mondo fuori di noi (politico, sanitario, economico) e esercitare la nostra parte. Senza sconti.
Fino alla prossima primavera ci aspetta un lungo viaggio.
Abbiamo ancora la possibilità di diventare seri. Tutti.
Vorrei pensare che accadrà, ma non ci riesco.