Con la semplificazione di cui non sappiamo fare a meno, uno dei discorsi più gettonati degli ultimi tempi è il rapporto fra la Rete e l’editoria. Il discorso nasce in parte dagli ebook e dallo strapotere di Amazon, ma si allarga alla svelta alla promozione del cartaceo e all’autopubblicazione, in una escalation talebana, tipica di questi tempi balzani.
Ogni volta in cui si prova a ragionare di Rete, in rapporto ai libri da scrivere, leggere, pubblicare, promuovere, accade un fenomeno simile alle dispute religiose o alle discussioni estenuanti sull’innocenza di Silvio Berlusconi. Se in America nasce Amazon Source e in Italia lo stesso Amazon discute a lungo della questione con l’Associazione Librai si capisce che la faccenda merita molto più che una rissa da stadio.
I dati sull’editoria 2013 dicono che il fatturato dell’ebook si è moltiplicato diverse volte, mentre il cartaceo cala di quasi il 10%. Eppure il mercato totale del libro elettronico rappresenta solo il 2% del totale, una goccia nel mare disastrato dell’editoria. La sensazione è che in molti, invece di una risorsa o un’opportunità, lo considerino un problema.
La pirateria, per esempio, c’è sempre stata. Nel 2006, da esordiente e del tutto sconosciuto, trovai su emule una copia di Lentamente prima di morire, di certo non il bestseller del momento. Eppure era lì, tranquillo ad aspettare insieme al blockbuster e al pezzo pop in cima alla classifica. La pirateria digitale, per i libri, è ridicola ed è la cifra stessa dell’irrilevanza numerica del mercato del libro. Il download illegale ha ucciso l’industria discografica per il semplice motivo che la musica è un bene di consumo di massa e le generazioni che hanno più accesso alla tecnologia sono fra quelle che la musica la consumano di più. Lo stesso vale per i film di cassetta. Per i libri il discorso è a rovescio, leggono in pochi e chi legge è adulto e, nella maggior parte dei casi, scarsamente tecnologico. Adora il libro di carta e leggerebbe di rado un libro in digitale. Col tempo è forse destinato a diventare un fossile e con lui il prodotto di cui usufruisce, un prodotto che, seppur con motivi diversi, soffre in partenza dello stesso problema della musica fisica. Un costo di base piuttosto alto o, spesso, inutilmente alto.
Il rischio è che l’ebook, anziché un veicolo formidabile per la promozione dei libri verso un nuovo pubblico di lettori, l’abbassamento dei costi, la pubblicazione di testi che non hanno nessuna rilevanza economica e magari sono fuori catalogo da secoli, diventi la patria inattaccabile di chi si autopubblica. Una nemesi devastante.
L’autopubblicazione non salverà l’editoria, così come non l’ha salvata la follia del libro a 9.99.
E non lo farà per un motivo facile: è in larga parte fatta di testi brutti, prodotti scadenti, che soffrono degli stessi problemi dell’editoria cartacea, passati sotto un moltiplicatore che li ingigantisce.
Se entrando in una libreria ti trovi avvolto in un marasma di copertine tutte uguali, titoli simili, storie spesso identiche, in cui diventa impossibile trovare la qualità che cerchi e in cui il libraio di turno non può darti nessun aiuto, perché lui stesso sommerso dalle novità che deve esporre, hai comunque di fronte dei testi che hanno passato un qualche tipo di selezione. Possiamo discutere dei criteri di quella selezione e l’ho fatto più volte, ma non si tratta di un luogo in cui chiunque può portare il proprio manoscritto, esporlo e attendere gli incassi.
Esattamente il contrario di quanto accade su Amazon e il contrario di quello che dovrebbe accadere.
Chi pensa che il lavoro editoriale dietro a un testo sia inutile o addirittura dannoso, non ha mai capito davvero cosa significhi fare lo scrittore e neppure che la figura più importante, per chi scrive, è un bravo editor. Parlo per esperienza, ne ho cambiati diversi e dal confronto è sempre uscito un lavoro migliore, anche quando non ho accettato le proposte di modifica. Non solo, ma migliorava il lavoro successivo, perché comunque le parole che ascolti ti restano in testa e se non sei proprio un coglione continui a ragionarci e analizzarle.
Eppure il mercato editoriale di oggi costringe qualsiasi scrittore a fare i conti con la possibilità di autopubblicarsi, consapevole che dal punto di vista della comunicazione, promozione, visibilità, la situazione peggiora, anziché migliorare. Pensate di nuovo a quella libreria dove siamo entrati prima. Pensate al vostro libro, immerso nel mare magnum degli altri libri, pensate al lavoro che dovrebbe aver fatto il vostro editore per scovare una copertina che sappia catturare uno sguardo e l’attenzione. Immaginate anche che il libraio sia uno di quelli bravi, che i libri li legge e ti consiglia, per esempio, Stoner o Richard Ford.
Bene. Ora togliete quel libraio e pensate che le copertine siano irrilevanti, quasi inutili, poi pensate che chiunque passi davanti a quella libreria entri e appoggi fra gli scaffali il proprio libro. Provate a immaginare quanto siete insignificante e chiedetevi, alla fine, se un lettore qualunque, o un utente, è agevolato nel trovare il vostro libro o la qualità che cerca, in mezzo a tutto quel marasma privo di controllo, garanzia, lavoro editoriale.
L’autopubblicazione non aiuta chi scrive o chi legge e non è diversa dall’autopubblicazione cartacea, se sei un esordiente. L’unica differenza è che è gratuita e vieni distribuito, ma in un luogo che rappresenta, nel complesso, un minuscolo puntino del mercato.
Aiuta invece, come quella cartacea, l’editore. Che si tratti di una multinazionale o di un portale italiano e i motivi sono evidenti.
Chiariamoci, l’autopubblicazione e l’ebook non sono la stessa cosa, così come l’editoria a pagamento e l’editoria. Ma aggiungere confusione a confusione non serve a nulla, non aumenta la qualità e non serve a scoprire nuovi talenti più di quanto non accada con l’editoria tradizionale.
La possibilità di dire quello che si vuole, pubblicare quello che si vuole, commentare quello che si vuole e come si vuole – non importa se si possiedono le competenze o meno -, soddisfa l’ego per un tempo piuttosto breve, consente a volte visibilità momentanea, ma non sostiene l’editoria e gli scrittori più di quanto non farebbe una birra e un sacchetto di patatine. Non per nulla dal mare magnum dell’autopubblicazione, negli anni, non è uscito quasi nulla.
Mi piacerebbe invece scoprire cosa accadrebbe a un autore affermato che decidesse di autopubblicarsi.
Sarebbe utile pensare che l’ebook sia una forma di promozione del cartaceo, con prezzi bassi il più possibile e immobili nel tempo, promozioni a parte.
Se siamo dentro quel 2% i numeri non sono interessanti per nessuno. Usiamo il digitale per raggiungere chi non legge, chi ci vive dentro, sui social network, nelle migliaia di community che parlano di libri in giro per la Rete, fra quelli che sono il nostro potenziale pubblico, perché la Rete non è solo livore e vaffanculo.
Avviciniamoli, con il loro linguaggio comunicativo, che non deve per forza essere banale o superficiale e facciamoci conoscere.
Può funzionare, funziona, Zerocalcare vende libri di carta.
Nei prossimi anni la percentuale di chi utilizzerà con disinvoltura un tablet o uno smartphone crescerà in modo esponenziale e col tempo ci saranno solo loro. Se hai in mano un iPad o un kindle, se magari ci leggi le notizie (i giornali di carta sono destinati all’estinzione dai costi), diventa facile leggere un libro, naturale, immediato.
Anche per questo una delle figure essenziali dell’editoria italiana di oggi dovrebbe essere un bravo social media manager. Ma uno vero, che sappia promuovere il libro portandolo verso chi lo legge, che sia su Facebook, su Twitter, su GPlus, che navighi su Storify o faccia parte una community di lettori. La reputazione funziona online come nel mondo reale, con la differenza che la Rete ti consente di dialogare con i tuoi clienti/lettori, uno per uno, domanda per domanda, curiosità per curiosità, libro per libro, dentro l’argomento e fuori, prima che tu lo abbia scritto o pubblicato, durante e dopo.
Ma la reputazione, quella vera, la community, quella vera, la possono gestire solo gli editori. E non è un mestiere da dopolavoro o da secondo lavoro.
E’ la differenza fra vivere e morire.
Se gli hotel a cinque stelle lusso espongono il marchio di TripAdvisor e se il passaparola è il primo (unico?) veicolo di diffusione di un libro, per quale motivo ignorare o trascurare un luogo che può far diventare virale un’informazione in poche ore.
Se un libro medio vende sotto le 2mila copie e Einaudi ha 129mila follower su Twitter, capite la portata di quella community sul successo di un libro?
Con l’aggiunta che, a parte i costi dello staff che se ne occupa, è comunicazione gratuita, mirata, ascoltata, richiesta, quasi sollecitata.
Smettiamola di fare a cazzotti su fesserie e proviamo a occuparci di questioni serie.
La prossima volta parliamo anche di storie.
 
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