Guardatevi intorno, prendete la prima persona che avete accanto. Un famigliare, un amico, la persona che amate, l’edicolante da cui avete appena acquistato il giornale. Ora immaginate che di colpo, senza preavviso, senza un motivo, senza che in qualche modo si potesse prevedere, svanisca. Pensate al vuoto, lì dove state guardando. Al segno dei suoi passi sul terreno, su una spiaggia, se siete in vacanza. Orme che si interrompono, fisse come il ricordo di un giorno felice che non siete più sicuri di aver vissuto. Svanire nel nulla. E non sto parlando di qualcuno che decide di abbandonare il mondo e progetta una fuga nei minimi dettagli. E neppure di un delinquente, costretto a inventarsi una vita e un nome diversi, per sfuggire alla pena che sa di dover scontare. Non ho in mente un anziano che perde la memoria, non penso al frutto di una malattia degenerativa che corrode i sentimenti e i pensieri, che stacca i fili che legano agli affetti e svuota l’esistenza di gioie, dolori, felicità e preoccupazioni, in una forma malata di democrazia del Nulla. Penso a una vita che, di colpo, perde il corpo in cui viveva. Maria Fresu è svanita nel nulla, come avete immaginato di vedere svanire la persona del nostro esperimento. Non è rimasto un corpo, non c’è una salma che si possa piangere. La bomba l’ha spazzata via. È oltre la morte, oltre l’omicidio, oltre la barbarie folle o razionale che trentuno anni fa ha deciso di far esplodere la sala d’aspetto di seconda classe. Anche per lei, ogni anno, ogni giorno dell’anno, testardi, bisogna ricordare. Di Maria non è rimasto altro. Solo il pensiero, i ricordi, la memoria di chi sa che è esistita e di chi non smette di ricordare a tutti quello che è accaduto trentuno anni fa, sabato 2 agosto 1980, alla stazione di Bologna.
Uscito oggi sul Corriere della Sera di Bologna
