Qualche anno alcuni amici in piazza Maggiore mi hanno chiesto incuriositi il motivo delle transenne a presidiare San Petronio e della sorveglianza, occupata a controllare ogni visitatore. Avevo spiegato, a loro che venivano da fuori, che c’erano state delle minacce a causa di un affresco, in una delle cappelle, in cui è raffigurato Maometto all’inferno. Avevano voluto vederlo, era stato quasi impossibile scorgere il dettaglio incriminato. A tutti, quella faccenda, era parsa una follia, in una città che ha vissuto altri orrori e lotta per non dimenticarli. Ho ripensato a quella visita davanti alle immagini di Oslo e al memoriale in cui l’attentatore – uno solo? – descrive il tenace fanatismo con cui ha progettato la sua barbarie. La notizia è sempre il racconto su una sola persona e mi sono chiesto quale taglio si sarebbe dato all’evento se invece di un trentenne nordico si fosse trattato di un mediorientale, uno di quei ragazzi che abbiamo visto in ospedale o sull’isola dell’orrore. Vittime questa volta, non carnefici. La sensazione che si stia calcando sulla pazzia, mi lascia uno strano sapore in bocca. Non mi interessa se la croce sta dalla parte del folle o è il nemico da abbattere. Mi interessa che ci si renda conto che i deliri di Breivik sono una copia in salsa nordica di quelli che portarono Timothy McVeigh a uccidere 168 persone a Oklahoma City, in nome della supremazia bianca. O Al Qaeda a massacrarne 191 a Madrid. Non cambia se il cristiano sta dal lato del grilletto o della pallottola. Trattiamoli allo stesso modo, raccontiamoli allo stesso modo. Sono pericolosi, allo stesso modo. È il primo passo per riuscire non solo a difenderci, ma a tentare di sconfiggerli.
uscito sul Corriere della Sera di Bologna il 26 luglio 2011
