Ho buona memoria. Non è sempre una fortuna, il più delle volte ti costringe a tenere a mente anche quello che sarebbe meglio dimenticare. Altre, come in questo caso, consente di alimentare il ricordo e la memoria, al di là del senso letterale del termine. Quando le brigate rosse uccisero Marco Biagi ero a cena fuori. Non rientravo a casa dal pomeriggio, non avevo acceso la radio, non sapevo cosa fosse successo a pochi metri dal luogo in cui mi trovavo. Ricordo bene i giorni successivi, le polemiche, fondate o pretestuose, le frasi prive di senso sfuggite con troppa facilità. Le parole del ministro Sacconi, replica di un’analoga dichiarazione di qualche anno fa sul rischio di un nuovo terrorismo, mi hanno riportato di colpo a quella notte, alle troppe immagini di Bologna violentata e uccisa, ai silenzi, prima e dopo, alle responsabilità che avrebbero potuto evitare il peggio e mille volte avevano fatto la scelta sbagliata. Ho pensato agli “altri”, quelli per cui il ministro teme e che, dice, potrebbero non essere protetti. Ho pensato alla loro notte e ai giorni successivi e alla fine ho riletto le parole di Sacconi. Mi sono chiesto se si fosse preoccupato di denunciare, richiedere una scorta per chi si trova in pericolo, mettere in allerta il collega Maroni, attivare indagini e protezioni. Mi sono ripetuto che non voglio cadere nel cortocircuito fra dissenso, discussione politica e pallottole. E mi sono trovato, alla fine, sigillato in un pensiero folle. A chiedermi se preferivo sperare che stesse parlando sul serio oppure che la sua, in mezzo a troppe altre, fosse solo l’ultima uscita infelice della politica.