Non amo molto le serie.
Non sto parlando di quelle televisive, ma dei romanzi seriali.
Ritrovare lo stesso personaggio, alla lunga, mi stanca. Mi divertivo, mille anni fa, a leggere Poirot, ma ho abbandonato Montalbano, Kay Scarpetta, non ho finito la Torre Nera. Resisto per quattro o cinque titoli, poi mollo.
Mi capita lo stesso con le serie televisive. Mi prende la trama orizzontale, la narrazione seriale. Se ogni episodio mi racconta una storia a sé con gli stessi personaggi, l’interesse mi scema quasi subito.
Con Gabriele Riccardi ho scritto un romanzo e una novella. Lentamente prima di morire è uscito nel 2006 ed è stato scritto nella primavera del 2003. Fragile è uscito l’anno dopo e la storia è ancora precedente. Tre anni fa, con un ruolo microscopico, Gabriele è spuntato fuori di nuovo in un racconto per il giallo Mondadori.
Non è un personaggio seriale, ogni tanto, senza preavviso, riaffiora.
Alla fine di lentamente, in molti mi hanno chiesto che fine avesse fatto. L’ho sempre saputo – come lo so di Nicola Zanardi, di Caterina, del personaggio senza nome che racconta Non voglio il silenzio – solo che non aveva senso raccontarlo.
Gabriele viveva la sua vita.
La puntualità del destino, invece, è nato con Gabriele Riccardi.
C’era dentro, era la sua storia, non avrei potuto raccontarla senza di lui.
Era il suo tempo, non so come spiegarlo meglio.
Dalla spiaggia in cui lo avevo lasciato è cambiato molto.
E’ cambiata la sua vita, sono passati molti anni, è cambiato lui.
Il tempo passa.
Continuo a non considerare Gabriele un personaggio seriale.
Questa volta, però, è stato bello lavorare sui suoi pensieri.
Non è un tipo comodo, non ama il mondo in cui vive, non fa niente per adattarsi o nasconderlo.
Per questo, prima di tutto, La puntualità del destino è anche la sua storia.