Uscito sul Corriere della Sera di Bologna, martedì 27 settembre
Immaginate una strada, due ampie corsie per senso di marcia, delimitata da transenne e da una striscia di plastica bianca, di quelle che avrete visto nei telefilm americani per proteggere la scena di un delitto. Nel mezzo deve accadere qualcosa, il pubblico si prepara, prende posto, arriva in anticipo, attende, resta diligente al di là della recinzione. Solo i fotografi sono autorizzati ad avvicinarsi. Cinque minuti prima dell’inizio, qualcuno decide che quei confini, sono una limitazione della sua libertà. Passa sotto la striscia di plastica, supera tutti quanti e si sistema in prima fila. Dietro di lui, altri, finché chi aveva preso posto in anticipo finisce per non vedere più nulla. C’è qualcuno che decide di protestare, spiega che la posizione è solo per i fotografi, che di fare così erano buoni tutti. Come risposta gli viene mostrata una macchina fotografica da supermercato e una faccia da schiaffi da primato. Sono una fotografa, vuole vedere il cartellino? Nessuno dei portoghesi si sente a disagio, nessuno torna sui suoi passi. È accaduto davanti a un museo della nostra regione, all’inaugurazione della personale di uno dei maggiori artisti del mondo. Chi era interessato è stato costretto ad andarsene e per un motivo semplice. Aveva rispettato le regole. Il paradigma sembra banale, ma non è diverso da quello che accade ogni giorno, sotto i nostri occhi, da molto tempo. Stare nel recinto, rispettare la legge e gli altri, è considerato da fessi, inutile, controproducente. Un modello culturale perdente. Forse riusciremo ad evitare il default economico, ma ci sono limiti che abbiamo oltrepassato da tempo e da cui sarà molto difficile fare ritorno.