“Non sono corrotti o collusi con Cosa Nostra, ma fecero una scelta di politica criminale sciagurata, assecondando la fazione più moderata dell’organizzazione mafiosa, quella di Bernardo Provenzano”
Lo ha detto il PM Nino Di Matteo, chiedendo nove anni per Mario Mori nel processo per la mancata cattura di Provenzano. Lo ha detto e sono felice che lo abbia fatto, perché con questa chiarezza è una delle rare volte che lo ascolto.
Mi prendo anche il merito, forse un po’ presuntuoso, di averlo scritto in un romanzo uscito nel 2011 e purtroppo molto premonitore, una premonizione facile, viste le premesse, bastava soltanto conoscere i fatti.
La dichiarazione di Di Matteo, che immagino non avrà il risalto mediatico che merita, svuota tutto il racconto che della trattativa (e bisognerebbe dire trattativE, sono state tre, una minuscola ma c’è stata) viene fatto da anni, con il solo scopo, spesso evidente, di montarci sopra trasmissioni televisive, libri, inchieste, attraverso un racconto che allude, insinua e che si ferma un istante prima di affondare fino in fondo, quasi avesse un bersaglio precostituito.
Di Matteo dice una cosa molto importante: Mario Mori e gli altri coinvolti in questa storia non erano mafiosi..
Non è un dettaglio, sono anni che si parla di quanto è accaduto dicendo più o meno velatamente che una parte dello Stato si era venduta alla mafia.
Lo si è fatto per la mancata perquisizione del covo di Riina, affondando Mori e fermandosi un istante prima di andare oltre.
Lo si insinua per Mancino, indagato per tutt’altro, con un’accusa che dovrebbe far riflettere dopo le parole di ieri del PM. Un po’ la stessa cosa accaduta quando le indagini hanno toccato Conso. Due ministri di un governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, ora richiesto di testimoniare al processo sulla trattativa.
Avete mai sentito parlare di Ciampi, da qualcuno degli arringatori della trattativa?
Eppure, seguendo la logica talebana e forzata delle loro arringhe a metà, la conclusione sarebbe inevitabile.
Se il ministro della Giustizia (Conso) e quello dell’Interno (Mancino) si sono mossi nella vicenda in modo più o meno lecito e a quel livello, il loro presidente del Consiglio qualche sussurro dovrebbe averlo percepito. È così il presidente della Repubblica, Scalfaro.
Invece non se ne parla e lo dico con sollievo, perché scoprire che esiste una forma di rispetto e di cautela verso figure gigantesche come Ciampi o Gian Carlo Caselli o verso un signore che ha fatto parte della Costituente e che ormai è morto, mi fa stare un po’ meglio.
Non mi fa stare meglio, invece, la caccia alle streghe con cui è stata per anni esiliata dal racconto l’unica cosa che conta davvero.
La verità.
Quella che viene a galla chiara e forte nelle parole di Di Matteo.
Ho sentito, con artifizi retorici furbi e disonesti, dare quasi del mafioso a Mancino, Mori, Di Donno, Ultimo, Conso, Violante e in ultimo, visto che questo Paese non si fa mancare nessuna bassezza, anche D’Ambrosio e Napolitano.
E dall’altra parte ho visto diventare guru della legalità ex ministri che stavano lì, vivi, attivi e legiferanti e che hanno il solo merito di aver ricordato in tempo cose che era meglio aver finto di dimenticare.
Tutto pur di semplificare e non dire quello che era palese già prima che Di Matteo dicesse quello che ha detto.
Nessuno dei nomi che ho citato è mafioso o corrotto o colluso. Non lo sono quelli che hanno indagini a carico, quelli che hanno risposto non ricordo, quelli che lo faranno o non lo faranno, quelli che ricordano, non sanno o preferiscono dimenticare.
Nessuno di loro è mafioso.
Non lo dico io, lo dice Di Matteo e immagino che in molti metteranno da parte le parole del PM e concentreranno l’attenzione sulla richiesta di condanna.
Più facile da raccontare.
È più difficile dire che la trattativa di cui si sta parlando (una delle tre, ripeto e forse non la più importante per i giorni che stiamo vivendo) è la decisione di una parte deviata di Stato piuttosto che, come dice Di Matteo e come è evidente, una versione non aggiornata e nemmeno corretta della solita ragion di Stato.
Chi era abbastanza adulto in quei giorni ricorda bene che aria tirava.
Chi oggi ha voglia di raccontarle quei giorni e si riempie la bocca, un giorno dopo l’altro, dei nomi di Falcone e Borsellino, dovrebbe avere almeno l’onestà intellettuale di raccontarli per com’erano.
Alla peggio, calassero la popolarità e l’audience, si potrebbe essere certi di aver fatto bene il proprio lavoro.
La responsabilità, anche quella non penale, è sempre del singolo individuo.