Dunque Napolitano succede a se stesso e la politica si fa di nuovo commissariare.
Un anno fa l’incapacità di governo ci ha regalato Monti e i tecnici. Dodici mesi dopo il nuovo Parlamento non solo non riesce a partorire un governo, ma nemmeno un presidente della Repubblica e il grado di commissariamento sale. Siamo in una Repubblica presidenziale? Forse, semplicemente in una Repubblica in cui l’unico in grado di decidere è il presidente.
Sembra un dettaglio retorico, ma non lo è.
Le colpe di questo pateracchio, per altro, sono piuttosto evidenti.
Il PD si è frantumato come una faglia durante un terremoto, c’era una crepa in mezzo, l’energia si è accumulata per anni e la scossa ha spostato tutto più o meno alla deriva.
Una fetta del partito ha lavorato con tenacia al risultato, cominciando dai primi giorni dopo il voto. Le dichiarazioni sono facili da trovare, fra i favorevoli a un governo col PDL (D’Alema e Fioroni, più larghe intese di così) e quelli del “proviamo pure con Grillo, ma ci umilia e sarebbe meglio votare” (Renzi, primo fra tutti).
Dalla parte di Grillo lo streaming aveva problemi di linea e piuttosto che dare un colpo al cerchio e una alla botte – tenere la linea, ma sotto l’insulto e tentare l’approccio con la parte del PD che ci stava provando – si è preferito continuare ad oltranza, indebolendo un già debolissimo Bersani, mettendo in un angolo chi, come Civati, ci stava provando e ci credeva davvero e rendendo maggioranza la comunione d’intenti fra quelli che cercavano B e quelli in attesa della testa del segretario.
Un capolavoro politico, davvero.
Il risultato è che il PD si squassa e Grillo può urlare all’inciucio per qualche mese, però non ottiene nulla se non libertà di propaganda e avrebbe, invece, potuto ottenere una parte di quel cambiamento che in molti volevano. E in Friuli (dove hanno perso tutti, ma 5S molto più degli altri) un piccolo segnale è arrivato.
Nel frattempo B gode come un riccio. Ha perso miliardi di voti, ha vissuto fino a ieri in un Parlamento in cui era del tutto ininfluente e comanderà di nuovo.
Per il PD e Grillo davvero un capolavoro.
Tutti uguali o tutti diversi, decidete voi.
Oggi arriva l’incarico di re Giorgio e se fosse Renzi sarebbe davvero da applauso.
Chiunque sia, però, gli stracci hanno solo cominciato a volare.
Franceschini a la7 dice che chi non voterà il governo è fuori dal partito, senza discutere sul tipo di governo e su quali compiti pensa di svolgere. Da una cosa a tempo sulla legge elettorale a uno con dentro politici PD e PDL passa una certa differenza.
Nello stesso giorno escono i risultati delle quirinarie di Grillo e si scoprono cose interessanti, a proposito della partecipazione della gente.
Gli aventi diritto di voto erano circa 48mila, hanno votato in poco meno di 28mila e la Gabanelli ha vinto con il 20% dei votanti, poco meno del 12% degli aventi diritto.
Per Rodotà il 16.7% dei votanti e poco meno del 10% degli aventi diritto.
E gli aventi diritto sono lo 0.5% di quei quasi 9 milioni che hanno votato 5S alle elezioni.
Grillo parla di golpe, poi rettifica a golpettino, poi ritorna a parlare di golpe e preannuncia il fallimento dell’Italia in autunno, come se fosse un osservatore neutrale e non il leader del secondo partito d’Italia, con un’enorme rappresentanza parlamentare titolata a fare qualcosa anche per evitarlo, quel fallimento.
Il PD, nel frattempo, si è allontanato così tanto dal suo elettorato da non vederlo neppure in rettilineo e si consegna a Matteo Renzi con riposizionamenti in corsa a metà fra l’equilibrismo, il funambolismo e il senso del ridicolo, trattando chi dissente come un eversore e abdicando alla proposta di una linea politica che vada oltre la conservazione di una posizione per cui pochissimi dei suoi elettori sarebbero disposti a firmare.
In sintesi nessuno rappresenta nessuno. Non il PD, a cui non sembra interessare l’elettorato e nemmeno il 5S, che non lo interroga neppure, al più lo guida.
Indovinate chi resta.