Scrivevo ieri a proposito delle occasioni perse da tutte le parti, almeno quelle che sono state davvero in causa, PD e M5S.
Oggi Pippo Civati, che mi pare la persona più lucida e di buona volontà, fra quelle attivamente in campo, racconta i sessanta giorni che hanno portato all’elezione di Napolitano e, oggi, all’incarico a Enrico Letta.
Il succo del racconto è simile a quello che si faceva ieri, con alcuni retroscena importanti e parte da un dato interessante.
Scrive Civati che ieri i 5S hanno votato sulla linea da portare a Napolitano, se l’oltranzismo assoluto o una proposta con un nome alternativo e che il no a tutti i costi ha vinto, ma di un voto solo. Un-voto-solo. Chissà cosa sarebbe accaduto se quella votazione fosse stata fatta prima dell’incarico a Bersani o prima delle ormai famigerate consultazioni in streaming.
Vorrei però fermarmi sulla conclusione del pezzo. Scrive:
C’è però una contraddizione che non riesco a spiegarmi: perché Grillo si è posizionato a sinistra (e così a sinistra), perdendo secondo me più di un voto a destra, senza voler raggiungere l’obiettivo? Perché Rodotà era una bandiera, ma era una bandiera che parlava solo agli elettori del Pd, a quelli che a febbraio non hanno votato Pd e a quelli che forse (dopo questo disastro) non lo voteranno più. Si è collocato nello spazio di Vendola, per capirci, e ha continuato però a non voler aprire un vero confronto. E se lo ha fatto, lo ha fatto giusto con quel minuto di ritardo. Che ci farà perdere molti mesi. Forse anni. Chissà perché.
Ecco, appunto. Perché?
Credo che sia avvenuto, dentro il M5S, qualcosa di simile a quello che è accaduto nel PD, forse del tutto identico.
Una larga parte del PD, ormai maggioritaria, ha lavorato facendo convergere due binari.
Da una parte l’eliminazione di Bersani, unico garante possibile dello spostamento a sinistra del partito, cominciato con l’alleanza con SEL – molto criticata, da Renzi alla parte più cattolica – e proseguito con il tentativo di agganciare i 5S e dall’altra l’accordo con Berlusconi, che garantiva lo status quo e rimetteva in sella, questa volta in versione politica, la strana maggioranza che ha retto Monti.
Il tutto, come si è visto e si vedrà sempre di più, a scapito degli elettori e di una parte della rappresentanza parlamentare, vedremo quanto ampia.
Dentro i 5S, a mio avviso, è successa una cosa simile. Il risultato elettorale è stato troppo ampio, gli eletti hanno bisogno di esperienza (perché la politica è un lavoro) e l’opposizione è la migliore palestra che un neofita possa intraprendere. Così, da parte dei due leader, si è iniziato un percorso parallelo a quello che accadeva nel PD.
Smontare Bersani, lasciando intendere che se spariva si sarebbe potuto parlare e mettere in pista la candidatura Rodotà, che spaccava la base del PD e gli eletti in Parlamento.
Una candidatura che doveva sembrare possibile, anche se numericamente non lo era perché avrebbe consentito a Grillo di non spostarsi di una virgola e continuare con la domanda che Civati cita e la stessa Serracchiani ha fatto ieri in direzione nazionale. Perché non Rodotà?
Perché accadesse, però, era necessario che i 5S sembrassero un monolite inespugnabile, impermeabile, quasi insensibile. Altrimenti, alla lunga, le brecce aperte negli eletti, divisi a metà come il voto di oggi ha certificato, avrebbero significato un’apertura di credito pericolosa.
In fondo, per far nascere il governo con il PD, sarebbe bastato davvero pochissimo.
Se il fiuto politico di Grillo è solo un decimo di quello che ha dimostrato, la conseguenza era palese ed è avvenuta, PD e PDL fanno insieme il presidente della Repubblica e, di conseguenza, il governo. Il M5S resta, con le mani libere e l’urlo pronto, all’opposizione, il ruolo per cui si è preparato, il ruolo perfetto con il governo che sta nascendo e ideale per capire le regole della fosse dei leoni e smettere di bruciarsi.
Il M5S si è spostato a sinistra perché è quello il bacino di voti contendibile, ora, a maggior ragione con il governo in arrivo e se sarà Renzi a prendersi il PD, spostando l’asse verso Monti e il PDL.
Due convergenze parallele che hanno lavorato bene e in silenzio, ottenendo il risultato perfetto.
E ci siamo persi il conflitto di interessi, l’anticorruzione fatta come va fatta, l’incandidabilità dei condannati e una delega fiscale che abbia un mezzo senso.
Davvero un lavoro ben fatto.