Qualche settimana fa parlavo di scrittura e di come l’editoria segua ormai regole del tutto diverse e spesso incomprensibili, con prospettive analoghe a quelle dei dinosauri in attesa del meteorite.
L’argomento, per motivi evidenti, mi interessa e mi tocca da vicino e continuerò a parlarne anche nelle prossime settimane. Per discuterne insieme, sono come sempre domande, più che risposte.
Alla fine di ottobre è uscita sul Foglio una provocazione di La Capria che suonava come un atto di accusa al lettore, “Impara a leggere” diceva, facendo riferimento a quello che si vende o non si vende. Al netto del divertimento dell’autore, tutte cose vere, condivisibili, lo stato della cultura di questo Paese è quello che è.
Con una capacità unica nel non cogliere il punto, la polemica del giorno è su Fabio Volo, la qualità di quello che scrive in rapporto agli straordinari dati di vendita.
Una polemica inutile, buona per movimentare le ire furibonde dei social, ma del tutto inadatta alla discussione in atto.
Sarebbe più interessante, per esempio, vedere quanto vende davvero, perché se il super bestseller di un tempo volava intorno alle 30/40 mila copie a settimana e per molte settimane, oggi i numeri si sono ristretti, sia in termini di copie che di tempo.
Comunque sia, per fortuna che Fabio Volo vende.
Non voglio difendere la qualità letteraria di quello che scrive, non credo che la difenderebbe nemmeno lui, ma se neppure Volo vendesse le sue copie, l’asteroide sarebbe già sceso a spazzarci via tutti. Parlare della crisi dell’editoria, della tristezza per le scelte del lettore, di quello che economicamente funziona o non funziona, prendendolo come esempio, significa allontanarsi dalla discussione di qualche chilometro.
Volo vende perché è un personaggio, un volto conosciuto, quello che scrive e come lo scrive sono conseguenze che hanno di certo contribuito al successo, ma non ne sono la causa.
Volo è un brand, è il brand che vende.
In fondo non è un brand così diverso, passatemi la provocazione, da qualsiasi altro scrittore diventato fenomeno di massa.
Camilleri potrebbe pubblicare qualsiasi cosa, così Baricco o Erri De Luca o Benni o chi vi pare.
In Polonia, per il nuovo Murakami, hanno tentato la via dei distributori automatici, strada non nuova, ma nuovissima se si pensa che sul distributore, a caratteri cubitali, c’è il nome di Murakami.
Non vende libri, quella macchinetta, vende il brand Haruki Murakami.
Meglio di Volo? Certo, se parliamo di libri. Identico, se usciamo dal contenuto.
Il problema non è Fabio Volo, ma che ha smesso di essere un’opportunità.
I soldi che Mondadori incassa con i suoi libri aiutano a rimpinguare i disastrati conti dell’editoria, non a promuovere altri che non hanno un brand così forte.
Che il super bestseller sia un libro facile, spesso banale, a volte venduto per altri motivi – quanti di quelli che hanno comprato Gomorra lo hanno letto? – non è una novità. E’ sempre successo, capiterà ancora e non perché siamo il Paese delle Banane (anche se lo siamo), ma perché i grandi numeri amano per forza di cose più Volo che Desiati. O, in alternativa, amano un fenomeno che li faccia sentire più intelligenti, che li qualifichi come persone.
Succede ovunque. In Francia le sfumature sono quarte, quinte e seste, Dan Brown decimo e così in Svezia. Nei primi dieci in Inghilterra non c’è un Julian Barnes e negli Stati Uniti neppure.
Per questo il discorso su quante copie vende Volo è inutile, stucchevole.
Se non è fatto con il numero vero delle copie non spiega niente, nemmeno la crisi che ha colpito anche i bestseller e che è uno dei motivi di terrore più profondo degli editori italiani.
Volo non è (non vuole essere, non può essere) DeLillo, ma un mondo editoriale che funziona ha spazio per chi vuole leggere Volo, per chi vuole leggere DeLillo e per chi – esistono, credetemi – li legge tutti e due.
E’ questo il problema, il diritto di esistenza di altro, la possibilità di vendita di altro che, spesso, è legata alla possibilità di conoscenza, promozione, distribuzione, remunerazione.
Quando per forza di cose caleranno le uscite – non c’è strada – quali credete che saranno privilegiate, quelle a potenziale maggiore di vendita o a maggiore qualità?
Di questo dovremmo parlare, di quanta roba al livello di Volo si fa uscire, sperando che venda come lui, saturando il mercato, uccidendo la libreria, rendendo difficilissimo fare il proprio lavoro ai pochi librai rimasti e cancellando la fidelizzazione del lettore nei confronti di una casa editrice, rapporto ormai ridotto ai minimi termini.
Smettiamola di parlare di crisi. È una trasformazione.
Non ne usciremo come ne siamo entrati, è cambiato tutto, l’alternativa è fra capirlo, correre ai ripari, cambiare a nostra volta o morire.
Negli anni si è assottigliata la già piccola pattuglia di lettori forti, ma quella gente che acquistava libri non è morta, ha solo smesso di farlo o lo fa molto meno.
Sono cambiate le abitudini, è cambiato il modo di vivere, leggere richiede concentrazione, tempo, silenzio, tutte cose che non ci sono più.
Se stai su Facebook non leggi libri. Leggi altro, status, articoli linkati (brevi, per carità), ascolti musica, passi il tempo.
Una delle chiavi su cui vale la pena di discutere è come portare di nuovo i libri a chi li leggeva e non lo fa più.
E che libri portargli, che storie, scritte come, raccontate come (ne parleremo).
E vendute come, non facciamo solo gli artisti, i libri bisogna venderli.
Se questo è l’epoca della condivisione, della comunità, della discussione, come conciliamo un modo di vivere simile con un’attività che si fa da soli?
Di certo non demonizzando le fanzine, ignorando le basi della comunicazione internet e del web marketing, aprendo per bellezza account Facebook e Twitter. Ci sono intere comunità che si occupano di libri, che pendono dalle labbra di ogni cinguettio, che vogliono sapere tutto di un libro, come nasce, le storie che ci sono dentro, i motivi che hanno portato a scriverlo, la strada fatta dalla testa dello scrittore fino alle pagine che dovranno comprare.
Gente a caccia di storie, molto più confusa di un tempo, perché sono tempi confusi e sono anni che li abbiamo abbandonati a loro stessi.
In quelle comunità ci sono i nostri lettori di ieri e i potenziali lettori di domani.
Ci interessano ancora o ci versiamo da bere e aspettiamo l’asteroide?
(continua… al prossimo giro parliamo di Rete, commenti, recensioni e autopubblicazione)
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