Non voglio il silenzio compie otto mesi.
Lo fa qualche giorno dopo la richiesta ufficiale del procuratore capo di Caltanissetta di revisione dei processi sulla strage di via d’Amelio.
Ci sono sette ergastoli in quelle sentenze e mille pagine di memoria in cui si racconta di depistaggi a vario livello, di indagini inquinate, di una verità messa insieme per non disturbare il manovratore, perché non ci si facessero domande, perché tutto, alla fine, potesse puntare dritto solo verso i cattivi, i mafiosi.
Leggere le pagine dei giornali, i documenti, le testimonianze, le carte, le rivelazioni uscite in questi ultimi tempi, continua a farmi impressione, anche dopo aver scritto quel libro.
Lo fa soprattutto oggi, quando l’aria che tira sembra così simile a quella di allora, ma potrebbe non esserlo affatto.
Otto mesi dopo, con un romanzo nuovo ormai finito, quella storia non se ne va, non voglio che se ne vada.
E sapere di aver scritto, nero su bianco, tutto quello che leggo sui giornali non mi fa sentire meglio.
Io e Ferruccio Pinotti abbiamo fatto soltanto un lavoro molto semplice. Leggere quello che è scritto nelle carte, leggere quello che era scritto sui giornali.
E farsi domande.
Se avete voglia di qualche dettaglio, Repubblica tenta di riassumere l’inchiesta sulla trattativa, linkando anche articoli di quei giorni del 1992.
Giuseppe Pipitone, su 19luglio1992, ricorda le dichiarazioni di Giovanni Tinebra, il procuratore che primo indagò su via d’Amelio e che potrebbe essere nominato a capo della procura di Catania.
E qui sotto, dalla scorsa edizione di AnnoZero, l’intervista a Alfonso Sabella, uno che sa di cosa parla. Che va ascoltato.