irene
Amo Irene Fontana.
Non è scontato che a uno scrittore piacciano i suoi protagonisti, così comincio con questa dichiarazione d’amore.
Amo Irene Fontana come mi è capitato solo altre due volte, in passato. Gabriele Riccardi e Francesco Mazzanti.
Capita che un personaggio possa avere una funzione strumentale. Hai in mente una storia, ti appassioni, ti ossessioni — scrivere è anche inseguire le proprie ossessioni — e ti serve qualcuno che la viva e la racconti. Gualtiero di Io sono Alfa era il simbolo perfetto di un mondo in via di estinzione, mentale e culturale, prima che fisica. Alberto, in Dovrei essere fumo, era la mia versione dell’agente segreto, un James Bond colto, malinconico, crudele, irrisolto e mai arreso a cui consegnare il testimone della peggiore tragedia che l’uomo abbia mai inflitto a se stesso.
Invece Irene, la protagonista di A chi appartiene la notte, ha preso forma insieme al romanzo.
Non è mai esistito senza di lei. La Pietra, gli Antichi, le statue velate, Irene erano lì fin dall’inizio.
Sapevo che ama la fotografia. Sapevo che quando è triste o malinconica o arrabbiata, cucina per tutti. Sapevo di Greta. Conoscevo le sue ossessioni e le sue paure. Ho pagine e pagine di taccuino in cui racconto il suo presente, il passato, la sua solitudine. Ho vissuto anni con lei, cacciandola e scoprendola.
Scrivendo il romanzo mi è capitata una cosa insolita. Avevo bisogno che i personaggi avessero una faccia, a volte il viso di un manifesto pubblicitario, il comprimario di un film o di una serie televisiva, una foto trovata per caso, un attore famoso. Solo per Irene e il suo mondo degli affetti non ho sentito il bisogno di lineamenti.
Così, non riesco a immaginarla, non sono in grado di andare oltre qualche tratto somatico e fisico, gli stessi che ho usato nella storia.
A parte questo la conosco come mi è capitato di rado.
All’inizio del romanzo Irene si è appena rialzata dopo una caduta fragorosa.
La chiama la sua Apocalisse, una di quelle cose in grado di rovesciarti la vita in pochissimo tempo.
Faceva la giornalista, aveva una trasmissione televisiva molto seguita, quasi idolatrata, una redazione motivata che pendeva dalle sue labbra. Fino all’errore fatale che distrugge tutto e la costringe a mollare. Ed è esattamente quello che fa. Molla. Se ne va, cambia vita, scompare dai radar. Lei, nata e cresciuta in pianura, recupera le sue radici, ristruttura la casa di sua nonna sull’Appennino reggiano e crea, col tempo, la fatica e l’ostinazione di cui è capace, un’azienda agricola di successo. Vive distante da tutto, non va al ristorante, al bar, al cinema, a teatro, al supermercato solo per il tempo necessario a fare la spesa. Saluta il mondo, seleziona le persone, taglia fuori tutti gli altri, cancella dietro le colline e i chilometri un’intera parte della sua vita, distrugge nella quiete il fragore del passato.
Conserva solo l’ossessione per la verità.
Colleziona bufale.
Fake news, per lei, sarebbe di sicuro un termine troppo altisonante, qualcosa che restituisce credibilità invece di sgretolarla, perfetto per un mondo che le pare vivere sempre di più con il terrore della profondità. Così, di tanto in tanto, affonda fino ai gomiti nel letame dei complotti senza senso, nella vanità di chi ha capito alla perfezione come gira il mondo ed è pronto a insegnartelo. E al sicuro all’ultimo piano della sua casa in sasso, il gatto che ronfa sulle ginocchia, smonta teorie del complotto, lotta contro la banalità del falso. Per tenersi in allenamento, per immaginare ancora di dare un minuscolo e presuntuoso contributo alla causa della verità, per affermare la distanza e la solitudine e, allo stesso tempo, rifiutarla.
È un pasdaran della razionalità, Irene. Esiste solo quello che si può provare, se un fatto è avvenuto, deve avere lasciato delle tracce nel mondo reale.
E man mano che percorre a ritroso la vita di Filippo, come un Pollicino cresciuto, scettico, spaventato e attento, è proprio il suo rapporto con la verità che viene messo in gioco, quella verità a cui non ha il coraggio di mettere la maiuscola e che le sembra, ogni giorno di più, la cosa meno importante per influenzare il mondo reale.
Verità e realtà, su questo si interroga. In un mondo in cui tutto è narrazione, racconto, finzione, percezione.
È questa la sua Notte, così diversa da quella di Filippo.
Una bufera di storie in cui trovare un bandolo, di speranze e di orrori, di logica e possibilità, di tracce e leggende.