F ha 18 anni, sta guidando, è notte.
F si è fatto qualcosa e non riesce a stare in strada.
F ha bevuto, ma non c’entra, non sarebbe neppure sufficiente a bloccarlo con l’etilometro.
F lo vede qualcuno. Anzi, vede la sua macchina, che sembra impazzita.
È notte, è settembre, è il 2005, siamo a Ferrara.
Chi vede quella macchina chiama la polizia. La pattuglia arriva.
Fino a questo momento, questa non è una storia. Un ragazzo su di giri che si impasticca o beve o si fa qualcosa o tutte e tre le cose e finisce per mettersi nei guai. In una storia normale, il racconto finisce qui. La corsa folle dell’auto viene fermata, il ragazzo calmato, si prendono le precauzioni del caso, ci si prepara a sopportare le conseguenze.
La storia di F, però, non finisce all’arrivo della volante. Comincia.
Dice il verbale dei quattro agenti che il ragazzo non vuole stare fermo, che devono immobilizzarlo con le cattive. Poi, dopo le sei del mattino arriva un’altra volante, qualche minuto dopo l’ambulanza. Quando arrivano i medici F non sta male. È a faccia sotto, per terra, le manette dietro la schiena, non respira, non risponde. Resta il tentativo di rianimazione e la constatazione di decesso. Crisi polmonare e trauma cranico facciale. La storia di F finisce qui e nel momento in cui finisce ne comincia un’altra, fatta di lividi, ferite e lesioni, di depistaggi, di perizie che dicono che è morto per overdose e di altre che spiegano che con quei valori non sarebbe mai potuto succedere. E poi un’inchiesta, il rinvio a giudizio degli agenti e di chi li ha coperti, processi, condanne.
E un film, ora, che il giornalista Filippo Vendemmiati dedica alla storia di Federico Aldrovandi.
Un racconto, anche quello. Doveroso e appassionato. Per rispetto della verità, della giustizia, della vita.
dal Corriere della Sera, edizione di Bologna, domenica 3 ottobre 2010