Dubois fa il regista. Di culto. O almeno vorrebbe continuare a farlo.
Sono cinque anni che non gira un film e il dubbio di non aver più niente di personale da dire comincia a passargli per la testa.
C’è una possibilità, però.
L’attrice televisiva, tutta Elisadirivombrosa, che vuole fare il grande salto e viene convinta a farlo con lui. Fuochi di artificio, gioia, tripudio. Sempre ammesso che sia rimasta, da qualche parte, un’idea da spendere.
Dubois – che ha la faccia disperata e dolente di Silvio Orlando –, però, ha anche una casa in Toscana. E tubature che perdono, parecchio, a spese di un affresco del cinquecento.
Così per riparare, gli tocca un cambio merce. Il silenzio in cambio della regia della recita del venerdì santo. La Passione, appunto.
Ha cinque giorni di tempo, la necessità di trovare un film da proporre alla divetta e una manica di cialtroni a mano, con cui mettere in scena la sacra rappresentazione.
A partire da un Cristo meteorologo e trombone – hola per Corrado Guzzanti – che si attiene al testo anche quando contraddice le Scritture, passando per un aiuto regista ladro quasi in pensione e sulla soglia della latitanza – altra hola a Giuseppe Battiston. Mancano i costumi, le copie del testo, in paese non prende il telefono, la divetta rompe le palle tanto quanto chi la sostiene, il protagonista vuole soffrire le pene del Cristo e predica realismo con tanto di frustate e croce di legno massiccio e la famosa idea non sembra venire.
O forse no.
Una storia semplice, di personaggi e varia umanità.
Divertente e grottesca, semplice e leggera che scorre facile fino all’epilogo e ti lascia dentro la sensazione che fra il dramma e la farsa ci fosse qualcosa che, magari ridendo, ti sei lasciato sfuggire.
dal Corriere della Sera, edizione di Bologna, domenica 10 ottobre 2010