E’ andata come è andata, abbiamo votato.
Sono felice? No. Ottimista? Forse. Preoccupato? Molto.
Alcune cose, però, mi sembrano uscire lampanti dalla due giorni di voto.
Comincio dal voto.
E’ ovvio che Grillo ha avuto il successo più grosso. Ma i numeri confermano quello che si vedeva già con le varie amministrative che si sono succedute negli anni.
M5S si spartisce le ossa degli altri, non aggiunge. Il corpo elettorale in 5 anni ha perso quasi tre milioni di votanti.
La gente continua a non andare, che ci sia il MoVimento o non ci sia.
Il PD ha fatto la campagna elettorale peggiore della storia, ignorando le regole minime di comunicazione, con la stessa totale ottusa convinzione con cui è incapace da anni di raccontare le cose fa o che vorrebbe fare. Una comunicazione politica adeguata avrebbe respinto al mittente le accuse di inciucio con SilvioB e messo in chiaro che è lui, il Rieccolo, che ha governato dal 2001 a un anno fa, con l’eccezione di 18 travagliati mesi. La mancanza di comunicazione è anche mancanza di certezza politica, di anima, di ideologia – se per ideologia intendiamo una visione del mondo e della società.
Il PD è un partito nato a freddo, come la cioccolata di Modica, ma non con la stessa qualità. E non c’entra il ricambio della classe politica – il nuovo che vedo non è sempre migliore del vecchio –, ma la composizione delle idee, la direzione. Fra la socialdemocrazia di Bersani-Vendola e il neoliberismo di Renzi non ho dubbi, per altro non mi pare che le idee sul lavoro di Ichino abbiano avuto tutto questo consenso. Allo stesso modo non ho dubbi che nell’era della comunicazione, dei social, degli slogan rapidi che restano in mente, Renzi funzioni molto meglio. Ma il problema è a monte. Quando dentro uno stesso partito ci sono due anime così diverse e parlo di politica, non di sorrisi e spin doctor, il problema è già in piazza.
Il PD non ha idee chiare, le comunica male (prima regola: devi sapere cosa vuoi dire), manca di un’identità. E tutto questo malgrado il suo elettorato sia ben preciso e identificabile.
Le conseguenze le stiamo contando in termini di schede elettorali.
Berlusconi e il centro, per quanto mi riguarda, non sono discorsi disgiunti.
Il voto dice con una chiarezza spaventosa che il centro destra italiano è Berlusconi. Monti e Casini sono ininfluenti. Questo significa che siamo l’unico Paese occidentale dove non esiste un blocco conservatore normale e dove quello che resta dell’economia reale continua a votare senza vergogna e senza sosta Berlusconi e la Lega.
La Lombardia che elegge Maroni e conferma la giunta della ‘ndrangheta e degli intarlazzi sanitari e boccia Umberto Ambrosoli (l’unico vantaggio è di essere orfano, Vittorio Feltri dixit) e espelle dal consiglio regionale la battaglia antimafia di Giulio Cavalli è un esempio significativo e preoccupante.
Vent’anni di Berlusconi hanno espulso dalla politica italiana quella parte cattolica, centrista, di destra moderata che esiste in tutti le nazioni del mondo.
Non è un dettaglio.
La campagna elettorale, alla fine, con un’altra preoccupazione.
Oltre la metà di questo Paese ha votato un partito con un’immagine pubblica sguaiata e proposte – a essere ottimisti – molto distanti dal limite estremo del possibile.
Anche estraendo dal conto la parte dell’elettorato M5S non attirata dalle sparate di Grillo, più interessata a mandare un segnale ai propri partiti, alla politica che alla fesseria dei mille euro a cranio per tre anni, resta comunque circa la metà del Paese a cui interessano promesse a caso, non importa se realizzabili o meno e non importa neppure da chi arrivano.
A proposito di comunicazione politica, la percentuale di demagogia che serve per vincere in Italia non è un dettaglio da poco.
Quello che siamo diventati negli anni, una società che non vede oltre il suo micragnoso interesse particolare, del tutto avulsa al bene comune, che non desidera il progresso di chi non ce la fa, ma il regresso di chi ha una posizione, priva quando non disinteressata alla cultura, con una concezione della legalità che non ha più a che fare con la legge o l’etica o la morale, si riflette su come votiamo e chi chiede il voto non può ignorarlo. Forse, ma chiedo troppo, dovrebbe addirittura considerare che la politica, tutta, ha anche una funzione pedagogica nei confronti del corpo elettorale, così come il bambino impara imitando i genitori e il mondo.
E adesso?
Ora la strada mi sembra segnata e per il PD è l’occasione (l’ultima?) di diventare quello che i suoi elettori si aspettano, un partito di sinistra (e per questo spero in Fabrizio Barca, non in Matteo Renzi) o di avvicinarsi all’estinzione. Andare a leggere il gioco, mettendo insieme un governo che non sembri una provocazione e con la consapevolezza che la realtà è entrata dalla porta e si è seduta sul tavolo. Visibile da tutte e due le parti.
Semplificando si potrebbe dire che l’elettorato del M5S si divide in chi vuole che tutto crolli e chi vuole che tutto cambi. Il voto di domenica consegna agli eletti del movimento (anzi,a Grillo, anzi a Casaleggio) la possibilità di decidere a quale delle due parti dare ragione.
Se la scelta è la prima, far crollare il castello, ora, è molto facile. Basta impedire che nasca un governo. Serve di sicuro a vincere in solitaria le prossime elezioni, ma serve?
Se la scelta è quella che mi auguro, la seconda, allora bisogna cominciare a fare i conti con il mondo reale. Tutti quanti.
La politica – molti dei grillini eletti e insediati se ne sono già accorti – è l’arte di trovare un accordo. Sulle questioni amministrative (legge elettorale, costi della politica, moralità pubblica, reddito di cittadinanza) credo sia possibile. Certo costringe Grillo a passare dal titolo del tema allo svolgimento. Sulla legge elettorale, ad esempio, il M5S è per la scelta dei cittadini – chi non lo è? –, ma fra proporzionale puro, maggioritario a due turni e porcellum con le preferenze c’è una discreta differenza. E fare una legge – doverosa, sia chiaro – contro il conflitto di interessi in un posto dove il gruppo di potere di Berlusconi prende ancora il 30% e consegna il nord a una forza politica irrilevante è un sicuro assalto alla baionetta, anche dal punto di vista comunicativo.
Se la scelta è la seconda bisognerà fare i conti con la democrazia e con i suoi vincoli e con le sue regole. Le stesse che ti hanno consentito di essere eletto per cambiarle.
Per esempio è inutile dire che si voterà provvedimento per provvedimento, valutando singolarmente.
Con i numeri del Senato ,se Grillo non vota la fiducia al governo – chiunque lo faccia – i provvedimenti restano nella testa di chi ha buona volontà, non nasce nessun governo.
Le regole esistono e bisogna impararle, perché una cosa, qualunque sia la scelta, da oggi è chiara, da una parte e dall’altra.
Urlare non serve più. Un copione non serve più. Parlare di inciucio è stupido e inutile quanto parlare di antipolitica o di PdmenoL.
Una risata ha seppellito tutti, sia la vittima della risata che l’autore della stessa.
Da oggi gli scherzi sono finiti, le azioni possiedono conseguenze.