In questi giorni mi capita spesso di parlare di novità e di cambiamento, le parole d’ordine della nuova pattuglia grillina nella scatoletta di tonno di Camera e Senato.
Era successo già al tempo delle primarie, in altro campo e con altre capacità, per Matteo Renzi, adorato da tutti perché (di fatto) l’unica faccia nuova e capace di comunicare nel secolo in cui vive, del panorama politico italiano.
(Su Renzi, se vi interessa, ascoltate la dichiarazione di Salvatore Settis, ieri sera a Otto e mezzo, eccovi il link, il minuto interessante è il 22:40, la penso esattamente allo stesso modo. “Una linea perdente troppo schiacciata su una sfumatura di sinistra (…) troppo spesso la sinistra ha mimato una certa destra (…) la sinistra ha senso se si distingue in maniera molto netta dalla destra (..)” etc etc)
Ora come allora le idee, la linea politica, importano poco. Si parla d’altro, di anagrafe, freschezza.
Della necessità di cambiare.
Eppure non c’è nulla di positivo in sè nella novità e neppure nel cambiamento e non perché sia un bieco conservatore o un reazionario, tutt’altro.
Negli anni siamo passati dal dualismo DC-PCI a Berlusconi (cambiamento), siamo passati dal lavoro fisso alla vita precaria (cambiamento), siamo passati da Enrico Berlinguer a D’Alema e Veltroni (cambiamento), siamo passati da una legge elettorale maggioritaria al Porcellum (altro cambiamento), da una certa classe politica che sottraeva fondi per riempire le casse del partito alle ostriche e ai cioccolatini (cambiamento), da lauree quinquennali alle lauree brevi, anche con materie discutibili (cambiamento).
Abbiamo anche ringiovanito, non è vero che le facce sono sempre le stesse. Franco Fiorito, per esempio, è del 1971,
E’ vero, le facce dei grillini sono nuove, il M5S è nuovo, il risultato politico è nuovo, gli eletti fanno lavori normali, ma tutto questo basta e, soprattutto, è davvero così nuovo?
Anticipo, non mi sembra che lo sia.
Ogni volta che cerco di abbozzare questo discorso, a proposito del risultato del moVimento e della sua proposta politica, la risposta che ricevo è quasi sempre la stessa. Volevi quelli che ci hanno governato per vent’anni? Ti andavano bene gli Scilipoti, i Razzi, i Berlusconi, il PD, il PDL eccetera eccetera.
La risposta normale, se il nesso di causa e effetto avesse ancora diritto di cittadinanza in questo Paese, sarebbe: no, ma che c’entra?
Invece è l’argomento principale che viene tirato in ballo ed è un paradosso, in un Paese che si ciba della parola merito come della pasta al sugo.
Per questo credo che l’ondata di nuovismo risolverà poco o nulla. Sì, certo, se la politica è mediamente furba (lo è?) si potrebbero ottenere alcuni risultati – movimenti tellurici, credo, non terremoti –, ma il problema rimane lì, seduto sul divano accanto a noi un po’ inebetiti che fingiamo di ignorarlo.
Il M5S che arriva terzo alle elezioni è come un giovane sprinter che prende il bronzo alle olimpiadi, dietro a due campioni in declino. Un vincitore morale, ma pur sempre terzo.
Reclamare la medaglia d’oro, quella partecipazione al governo solo se lo si guida in prima persona, è una versione nemmeno troppo riveduta e corretta di quello che il PSI di Craxi ha fatto negli anni del pentapartito, tenere le fila con i voti di altri. Un po’ la stessa operazione che ha tentato Monti, sperando di arrivare al 15% al Senato, per costringere il PD a bussare alla porta. Legittimo, certo, ma già visto e politicamente discutibile, quando si urla per anni agli inciuci e ai governi tecnici.
Se secondo la logica grillina è un inciucio il governo PD PDL, lo è allo stesso modo un qualsiasi governo uscito da un voto come questo, anche PD M5S o M5S PDL.
E, ancora, se come dicono tutti gli eletti, contano le proposte e non chi le fa, allora cosa cambia se il governo lo guida Bersani e il M5S dà la fiducia o viceversa? Comunque vada, i voti che reggono la maggioranza sarebbero del PD, no?
Questo per rimanere alla dialettica politica, stucchevole da anni, identica da anni.
La questione più insolita, però, mi pare un’altra.
Nel recente passato ci siamo indignati e divertiti per una serie di interviste delle Iene fuori da Montecitorio, domande normali per chi occupava scranni parlamentari e a cui venivano date risposte fra l’assurdo e l’imbarazzante. Abbiamo ancora in Parlamento Scilipoti e Razzi, di cui ricordiamo le performance linguistiche e che sono archetipi perfetti di una classe politica sfasciata dal punto di vista culturale e professionale.
Che differenza c’è fra Scilipoti e alcune dichiarazioni che abbiamo sentito?
Fra il microchip sotto pelle, l’ignoranza sul criterio delle elezioni del presidente della Repubblica, l’ode al (fu) presidente Chavez e le risposte che ottenne Sabrina Nobile delle Iene (Il Darfur sono cose fatte in fretta, Mandela è presidente del Brasile, la Consob non so cosa sia)?
Che cosa c’è di nuovo in chi parla di fascismo buono (Berlusconi lo fa da anni con continuità e rettifica da anni con la stessa continuità)?
Cosa c’è di nuovo in chi parla di pennivendoli o di stampa di regime, non vi suona già sentito? Non vi suona già sentito il complotto, i poteri forti?
Cosa c’è di nuovo in chi manda a fanculo i politici di professione? La lotta contro i professionisti della politica non è una guerra santa di SB da quando è entrato in parlamento?
Dichiarare una cosa un giorno e farsi smentire dal padrone del vapore il giorno dopo, non è stata la prassi dentro il PDL?
Dichiarare tutto e il suo contrario non è la regola aurea con cui il PD manda nella spazzatura la chiarezza di una linea politica?
Sì, certo, quelli di prima hanno fatto – non tutti, non tutti! – pietà, ma cosa c’entra?
Non ci stiamo semplicemente accontentando di fatto e pretendendo a parole?
Se il problema è il merito, migliorare, progredire, il nuovo che avanza rischia di concorrere poco o nulla, sarà forse in grado di lanciare slogan nuovi (L’onestà tornerà di moda, certo, nel Paese dell’evasione fiscale di massa, della corruzione sistematica e dilagante, aggiungete quello che vi pare), ma non di attecchire sul serio.
E per un motivo molto semplice: parte dalla faccia, dall’età, dalla novità, non dal merito.
La decrescita felice è progresso?
Impedire a un parlamentare capace di essere rieletto dopo due mandati e sostituirlo con un novizio della politica, è progresso?
Ritornare alla lira è progresso?
Nemmeno una parola sulla criminalità organizzata o sulle donne, è progresso?
Mettere in dubbio la Costituzione è progresso? Distruggere è progresso?
Ricercare con determinazione un capo da seguire, è progresso?
E, per tornare al linguaggio, essere così livorosi e privi di autocritica, è progresso?
Prima di concedere le attenuanti della novità, della mancanza di esperienza, forse basterebbe farsi qualche domanda.
Se quello che sentiamo in questi giorni lo avessimo sentito dal vecchio, come avremmo reagito?
Se le dichiarazioni di Grillo e degli eletti o i video di presentazione li avessimo visti in casa PD o PDL o Monti, come avremmo reagito?
Vogliamo nuovi Scilipoti o vogliamo sbarazzarci degli Scilipoti?
Cerchiamo una nuova attrazione per il circo o pensiamo che sia ora di chiudere un circo e aprire un Parlamento?