Si fa un gran parlare di regole, nel Partito Democratico.
Regole per votare alle primarie, per partecipare, regole per essere eletti in Parlamento.
Comincio dalla questione candidature.
La colpa di questa classe dirigente è non aver creato una successione. E’ accaduto pochissimo a livello locale, a volte quasi per caso.
Ora si decide che il problema esiste, è in qualche modo anagrafico e va risolto alla radice. Sorvolo sul fatto che se un candidato non ci garba abbiamo potuto sempre non votarlo e mi chiedo se il numero dei mandati sia un meccanismo di selezione, anche del merito.
Qualche giorno fa, in un momento di sincerità, Nicole Minetti ha detto che per fare politica non serve essere preparati. Il pensiero è evidente, se si considera la sua persona e molte altre candidature proposte, sia a destra (di più) che a sinistra ed è un pensiero che mi fa orrore per due motivi. Il primo è che lo abbiamo fatto nostro, scoraggiati da quello che vediamo accadere. Il secondo è che sono convinto che la politica non solo sia un mestiere per cui serve essere preparati, ma sia un mestiere difficile, non per tutti e in cui serve dedizione e non guasta il talento. Un mestiere che si impara e che, come per i nostri amici latini, si impara con un cursus honorum, dal basso, con applicazione e costanza e che si esercita al massimo livello quando si è pronti. E non mi scandalizzo che, se si è capaci, si possa fare per tutta la vita.
Detto questo, Veltroni e D’Alema si fanno da parte, con la classe che lo contraddistingue Renzi dice più o meno velatamente che ora tocca a Bindi e Finocchiaro e poi, magari a altri.
Bene, rinnoviamo a colpi di accetta, rottamiamo tutta la classe politica di oggi, bravi o meno bravi. Dietro, in attesa, che cosa c’è?
Quello che vorrei sapere è cosa accadrà il giorno in cui il PD vincerà le elezioni. Potrò anche essere antiquato, ma non vorrei un neofita ministro, i neofiti della politica calati ai ministeri li abbiamo già visti. E non vorrei un neofita presidente del Consiglio, anche se ha amministrato una provincia e un comune.
L’amministrazione e la politica nazionale sono due mestieri simili, ma diversi. Ho provato personalmente cosa significa avere come ammnistratore un notevole uomo politico. Non è detto che funzioni.
Prima di fare il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama è stato senatore dell’Illinois per tre mandati, dal 1997. E poi senatore degli Stati Uniti, fino al 2008.
Angela Merkel è stata eletta al Bundestag nel 1990, poi due volte ministro. David Cameron ha lavorato a Downing Street con Major, nel 1991. E poi al Tesoro, agli Interni.
Con la versione estrema del M5S Obama non sarebbe presidente, la Merkel cancelliere, Cameron primo ministro.
E’ questo che vogliamo, siamo proprio sicuri? Niente Berlinguer, Zaccagnini, Napolitano?
Vogliamo gettare il bambino con gli Scilipoti? Siamo sicuri che sia questo il modo per migliorare il livello scandaloso della nostra classe politica?
Se vogliamo mettere un limite, mettiamolo alle cariche. E senza deroghe.
Negli Stati Uniti, dopo due mandati, il presidente va a casa. E’ così difficile pensare che funzioni per sindaci, presidenti di provincia e regione, presidenti del Consiglio?
Le regole, poi. Renzi dice che Bersani non è leale, che cambiarle in corsa è sbagliato, che si deve fare qualcosa per aumentare la partecipazione, non diminuirla.
Dimentica, però, che le regole c’erano già. Lo statuto votato dall’Assemblea Nazionale prevedeva come candidato premier del partito, il segretario in carica. E’ stato cambiato per far partecipare anche Renzi che, se si fossero applicate le regole, sarebbe rimasto a guardare. Di quel cambiamento, Renzi non dice quasi nulla, lo dà per scontato, un atto dovuto e non lo è affatto.
Sulla partecipazione alle primarie ho un’idea molto personale, che parte proprio da quelle garanzie che tutti i candidati dicono di volere. Almeno a parole.
Il candidato premier di un partito lo scelgono gli iscritti, funziona come l’assemblea dei soci di un’azienda. Non sei iscritto, pazienza.
Si fanno le primarie con una partecipazione ridotta? Di nuovo pazienza.
Non siamo negli Stati Uniti, non abbiamo due partiti e nemmeno quel meccanismo di voto. Di più, a oggi non sappiamo nemmeno con che legge elettorale voteremo. E cambia parecchio.
Conosco più di una persona di centro destra, che non voterà mai il PD alle politiche e che andrà a votare alle primarie.
E’ stupido? Sì, lo penso anch’io. Ma è così. E’ un rischio che vogliamo correre? Corriamolo pure. Ma esiste.
Sul suo sito Renzi chiede di firmare per la candidatura alle primarie e esplicita che possono farlo anche i non iscritti al PD, d’altra parte dice chiaramente di voler parlare ai delusi del centro destra. Un’idea che può avere un senso se ragioniamo di elezioni politiche.
Qui, però, siamo dentro al recinto del PD. E nel nucleo preciso del motivo per cui non voterò Renzi alle primarie. Parlare ai delusi del centro destra significa voler cambiare la base del partito, la natura stessa di un partito che proprio per mancanza di natura non è mai nato davvero. Significa voler cancellare quel po’ di identità socialdemocratica e di sinistra che alcuni esponenti del PD tentano con più o meno successo di tenere viva. Significa, per esempio, agganciare ancora di più il camion liberista, far diventare il partito un partito di centro, più vicino all’ala minoritaria della vecchia margherita.
Operazione politicamente accettabile, certo. Ma che non mi riguarda come elettore.
Ne riparleremo.