Si sta meglio il giorno dopo?
Eccome, se si sta meglio. Leggi i giornali, ti godi i notiziari, vedi la faccia con gli occhiali scuri di B e ti chiedi se non sia uscito da Boardwalk Empire e quanti secoli fa sia stato il presidente del Consiglio. Oggi ti sembra addirittura possibile che Bersani riesca a fare un governo.
Sarà la primavera che arriva.
Però non è finita, ieri sono accadute tre cose importanti, una diretta conseguenza dell’altra.
Cominciamo dalla prima.
Il centrosinistra ha proposto per le presidenze due persone di altro livello. La consonante in più non è un refuso.
Due di quelle parti di società civile che assomigliano tanto alle proposte civiche che il partito ha candidato alle elezioni negli ultimi anni, sia con successo che con incredibili insuccessi. Penso a Giuliano Pisapia, a Umberto Ambrosoli, a Crocetta, a Laura Puppato.
Un tentativo di rinnovamento che non nasce (solo) sotto la spinta di Grillo, ma più anche (o più ancora) sotto la spinta del proprio elettorato. Ci sono state le primarie, ci sono facce nuove nel partito, spinte nuove dentro il partito e il peso non trascurabile di un elettorato stanco di posizioni ambigue. Stanco, per molti versi, anche più dei grillini, in parte molto più freschi e ingenui di politica dell’elettore PD.
Sono due candidature rivoluzionarie, ma non tanto per i nomi, quanto per il metodo, perchè rovesciano lo schema. Partono dal merito, non dal consenso, che è stato anche giustamente cercato, ma non a tutti i costi.
In sintesi, si è fatta la cosa giusta sperando che altri la trovassero giusta.
Non è (quasi) successo, ma la linea è perfetta.
La stessa che andrebbe seguita per il governo. Partiamo dal basso, dalla proposta e saliamo a cercare consenso. Lo dice, con chiarezza condivisibile, Pippo Civati nel suo post di oggi. Facciamo in modo che sia difficile dire di no, che provochi discussione al di fuori del centrosinistra, che sia una semplice, giusta, realizzabile, alta, proposta di buon senso, con conseguenze dirette, efficaci, di miglioramento.
Così vengo alle due conseguenze.
Scelta civica non ha votato Grasso, inscenando lo sprint del passaggio rapido nella cabina elettorale.
I retroscena giornalistici mi interessano più per divertimento personale, ma è un fatto che sia arrivato lo stop di Napolitano alla candidatura Monti e che dopo quello stop non ci sia stato nessuna proposta alternativa. Così come è un fatto che abbiano scelto di astenersi, privilegiando l’equidistanza e rigettando addirittura il brand con cui si sono presentati, Scelta civica. La scelta civica ieri c’era, Piero Grasso. Semplicemente non l’hanno accolta. Democristianamente.
Poi c’è il M5S.
Una parte dei senatori ha votato Grasso, una parte bianca, una parte Orellana, ossia scheda nulla. E alla sera è scatta la scomunica di Grillo. Lasciamo perdere il non-statuto, i post sul vincolo di mandato, la libertà di mandato sancita dallo statuto del movimento, quello vero, ma la questione del gruppo parlamentare di Grillo esiste.
O meglio, esiste la domanda, se il gruppo parlamentare di Grillo sia davvero un gruppo parlamentare.
Ieri al Senato è arrivata una prima mezza risposta. Si sono riuniti e ognuno ha votato come gli pareva.
Se c’è stata (e a giudicare dai tre comportamenti diversi sembra di no) una votazione a maggioranza, una parte non l’ha rispettata. E si trattava di una scelta semplice, in fondo, con conseguenze precise. Scegliere se preferire Schifani o Grasso, in un ballottaggio che non prevede un proprio candidato. E prendersi la responsabilità di una scelta e della reazione della base. Qualcuno l’ha fatto e qualcuno no. Per qualcuno erano uguali, per qualcuno no. Per Grillo è sufficiente per una scomunica e una richiesta (più o meno mafiosa) di dimissioni, anche se il supposto vincolo di mandato, sulle presidenze istituzionali è una palese fesseria.
A questo punto, però, si fa sul serio, non si parlerà più di nomi fino alla presidenza della Repubblica (dove la questione vera, credo, sarà Prodi o Rodotà o Amato, non D’Alema come insinua oggi Grillo, come arma di distrazione di massa) e la questione degli eletti diventa importante.
Qualcuno dice che non voteranno nulla di altrui, anche se condivisibili, ma solo proposte proprie.
Il che significa mettersi fuori dal Parlamento, rendere quasi inutile ogni singolo voto che gli è stato attribuito. Non riconoscere il ruolo del parlamento in cui hai chiesto di essere eletto e neppure i meccanismi di funzionamento della democrazia.
Sarà, ma ci credo poco.
Credo più probabile, invece, che succeda qualcosa di simile a quanto visto ieri.
Per esempio.
Grasso ha presentato un paio di giorni fa un disegno di legge in materia di anticorruzione, immagino che si arriverà a discuterlo e che l’argomento interessi i M5S, che a qualcuno possa piacere, a qualcuno no, a qualcuno continui a sembrare non interessante perchè arriva da un partito e non dal movimento.
Quando voteranno, quelle tre parti con tutti i possibili distinguo, lo faranno unite o separate? Voteranno come un gruppo parlamentare o come 53 singoli senatori?
Parteciperanno alla discussione, magari con qualche emendamento o resteranno sull’Aventino dove si sono tranquillamente ritirati fino al ballottaggio di ieri?
Sono un gruppo parlamentare o un insieme eterogeneo di gruppi misti?
PS:
Solo una piccola cosa, per chiudere. Nel fondo di oggi su Repubblica, Scalfari racconta del suo incontro in Parlamento con un deputato grillino di cui non fa il nome.
Il deputato confessa di non aver votato alle ultime politiche, nel 2008. E di aver votato, la volta precedente, per Berlusconi, capendo presto di aver fatto una fesseria.
La volta precedente, il 2006, era quella del pugno di voti, quella che veniva alla fine del quinquennio di disgrazie iniziato nel 2001 e in cui, alla fine, B sembrava un corpo estraneo al Paese.
Visto che dall’inizio della campagna elettorale sento i duri e puri del M5S additare chiunque voti uno dei due partiti tradizionali come un reazionario, vecchio, colluso e sostenitore dei corrotti e visto che fra quei disgraziati responsabili della rovina dell’Italia ci sono anch’io, che Grillo non l’ho votato, mi piacerebbe precisare che considero molto più colpevole di me per quello che è accaduto a questo Paese chi, invece, a Silvio Berlusconi il voto lo ha dato. E tanto più colpevole quanto più spesso e/o più vicino a oggi è stato quel voto.
Parafrasando (ma nemmeno troppo), anche se vi sentite assolti, siete (alcuni di voi) molto più coinvolti di altri.