In molti mi chiedono che si fa, che succede.
La prima risposta che mi viene è facile, si muore, ma non sta morendo solo il PD, è uno sterminio di massa che il PD ha fatto deflagrare, uno sterminio che sembrava pronto, il partito aveva un deposito di esplosivo sepolto in cantina e questi giorni hanno fatto scoppiare la miccia.
Ora che tutto è scoppiato, anche se l’esplosione più grossa ancora deve arrivare, bisogna prendere atto che una componente del PD guarda più a Berlusconi che a Vendola o ai tanti elettori che hanno votato M5S e che sono ex elettori pro tempore di una parte politica che attende invano da anni una rappresentanza decente. Io stesso mi metto fra i non rappresentati, anche se non ho votato e non voterò mai Grillo, per motivi che chi mi legge conosce molto bene.
Qualcuno dice votiamo Rodotà.
La candidatura di Rodotà è meravigliosa, stupenda, lui è una persona che adoro e mi rappresenta, ma eleggerlo è impraticabile nel mondo reale. La parte cattolica del PD (Fioroni, Gentiloni, forse anche i renziani) non la voterebbe mai. Basterebbe conoscere la storia di Stefano Rodotà, per capirlo. E non lo voterebbero Berlusconi o Monti, semplicemente non ha i numeri. Purtroppo, dico io, ma in politica la realtà non è un dettaglio e come vota la gente alle elezioni nemmeno. Votare Rodotà in aula sarebbe utile solo a impallinarlo e svelare il gioco di Grillo. Un gioco che si conferma coerente, ma di quella coerenza che smette di essere un valore e si trasforma nel contraltare perfetto della follia autodistruttiva del PD, non scende a patti con nessuno, non vota Prodi, non cerca un punto di contatto con la parte buona (permettetimi una semplificazione) del PD e consente che si impallini il Professore, con il risultato che non solo non avrà Rodotà, ma rischia di ritrovarsi Marini o chissà chi.
Indebolire ogni giorno il PD ha significato nei fatti spostarlo verso Berlusconi, dare ragione all’ala destra del partito, consentirle di far diventare possibile l’idea che l’unico ascolto (seppure per motivi personali) sarebbe arrivato da destra.
Un po’ la posizione di Monti che non vota Prodi per puro calcolo (se non Prodi, chi?), che ha fatto la campagna elettorale contro Berlusconi e ora scopre che senza il PDL non si può votare il presidente della Repubblica e di fatto guarda da una parte sola, magari in attesa che il PD rompa gli argini e i cattolici confluiscano con lui, compreso il cavallo vincente Renzi.
Una politica incapace, autoreferenziale, trasversale, assurda, a partire dal vecchio per arrivare al nuovo, che spaccia il trasformismo per realpolitk e la testardaggine per coerenza.
Lo spettacolo è sotto gli occhi di tutti e parte dal PD perché, nei fatti, è l’unico partito della scena italiana, avendo di partito la concezione politica del termine.
Così, si muore, si muore tutti, responsabili quota parte.
E si muore a partire dalla casa più grossa, il PD.
Si muore di mancanza di ascolto e per nessuna volontà di sintesi politica.
Si muore perché non si ha una linea, perché l’assurdo è aver creduto che il PD potesse essere la soluzione unitaria che la base chiedeva, in una politica come quella italiana, così diversa dagli Stati Uniti. Là può funzionare un partito che tiene insieme (e a fatica pure lì) il Tea Party e McCain o la Clinton e le ali più estreme, a sinistra anche di Obama, perché esiste una tradizione. E la tradizione, anche se è fatta per generarne di nuove, è cultura, cultura che arriva da lontano e cambia e muta, ma resta, attecchisce e fa nascere quello che sei oggi, perfino se la ignori, perfino per quelli che “la democrazia italiana è marcia da centinaia di anni”, ché magari l’avessimo, noi, una tradizione democratica di quella lunghezza.
Qui la nostra storia insegna un altro mondo, nascono partiti di sinistra per cui anche SEL pare troppo moderato, Storace non confluirebbe mai nel PDL, il bipolarismo americano, da noi, è un’utopia in cui hanno creduto, forse, Veltroni e pochi altri. Lo stesso PD è nato come Zeus, indebolendo alla morte il governo del suo stesso creatore, Prodi, che non era un crudele Saturno pronto a sbranare i suoi figli, ma semplicemente l’unica occasione che sia mai esistita, dal 1996, di mettere insieme una politica decente al posto di Berlusconi.
Perché è vero che, nel 2006, c’era Mastella ministro, ma c’era anche Tommaso Padoa Schioppa e quel tentativo di risanamento dei conti è stato espulso dal Paese, da quello stesso Paese reale che si è prima innamorato di Monti, poi lo ha scacciato o che, ora, è innamorato di Rodotà, dopo averlo insultato per la pensione e pronto a denigrarlo come un comunista appena dovesse far conoscere al grande pubblico le sua sacrosante opinioni in tema di diritti civili. Sarebbe facile (e lo penso) dire che si muore perché la famosa società civile non è migliore di chi elegge, ma il problema è capire cosa fare, ora.
Certificare l’esistente, mi pare l’unica strada.
Il primo passo è cambiare chi sta in cima. Quello che sta accadendo è il requiem (non il redde rationem e nemmeno il cupio dissolvi) di una classe dirigente avvitata su se stessa, incapace di guardare e vedere quello che le accade intorno e, in maniera simile a quanto accade in un organismo morente, attaccata alla sua stessa sopravvivenza come all’unico valore da perpetuare in eterno.
I congressi servono a fare chiarezza, ma esiste lo spazio per una sintesi che non si è trovata fin ora? Esiste la possibilità di tenere insieme (semplifico) Fioroni e Barca con Renzi in mezzo a ballare il tango?
Il PD ha semplicemente dimenticato la storia da cui proviene, dimenticato chi rappresentava, dimenticato chi lo vota e perché, dimenticato che cosa significa essere un partito di sinistra in Italia (forse perché si è sempre vergognato di esserlo o non ha mai voluto esserlo davvero), lasciato praterie di consenso alla Lega, al M5S, ignorato i mutamenti che avvenivano in una società che viaggia alla velocità della luce.
L’elettorato del PD è un elettorato di sinistra, con quello che sinistra vuol dire qui e ora, non nel diciottesimo secolo, nel Paese di Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, dei piazzisti e dei venditori, delle tifoserie da stadio e della comunicazione semplice, della soglia di attenzione scesa a qualche decimo di secondo e dell’ignoranza di massa spacciata come valore,ma anche della richiesta urlata di diritti, di rappresentanza, di buon senso, di partecipazione.
Non sembra così difficile da capire.
L’Italia è il Paese che abbiamo, parafrasando l’uomo di Arcore.
In questa Italia manca un partito di sinistra.
Se Fioroni non ci sta, amen. Se Gentiloni non ci sta, amen. Se l’idea di sinistra di Veltroni è Monti, amen. Non ci sta D’Alema, la Bindi, la Finocchiaro? Amen. Cambia il mondo, cambia la politica e con loro chi la rappresenta. C’est la vie.
Si elegga un presidente della Repubblica che sia degno, che duri al di là di questi pochi mesi e non si insulti Giorgio Napolitano. Poi si riparta da lì.
Da un partito socialdemocratico, non liberaldemocratico.
Da Pippo Civati e Fabrizio Barca.
Così, forse, non saremo morti per niente.