20140308-160359.jpgLeggo su Repubblica di oggi un estratto da un testo di Ferruccio Parazzoli che verrà pubblicato sul prossimo numero di Vita e Pensiero, in uscita il 12 marzo.
Il pezzo (per una volta) è sintetizzato bene nel sommario.
“Autori che usano un linguaggio troppo comune. Libri che cercano un successo facile. Ma davvero la letteratura non sa osare più? Scrivere è una roulette russa finché non esplode il bang.”
Difficile non farsi qualche domanda, specie avendo la fortuna di vivere dentro il mondo editoriale e proprio nel ruolo di quello, per dirla con l’autore, che dovrebbe puntarsi la pistola alla testa e sparare.
Ho provato, durante la lettura, un misto singolare di compiacimento e rabbia e riflettendo mi sono reso conto che dipendeva dal lato del tavolo a cui mi sedevo. Da lettore ho pensato che Parazzoli avesse ragione, da scrittore ero sicuro che avesse torto.
Fatico sempre di più, e non da poco, a trovare libri che possano sorprendermi, per la storia, la lingua, la voce o (miracolo) tutte le cose insieme. La questione è ancora più bizzarra se si pensa che conosco le uscite, gli autori, vivo (appunto) dentro il meccanismo. Tutto è già stato scritto, si dice e non è una fesseria, ma è anche vero che neppure Giulietta e Romeo è una storia originalissima, ma chi la scrive non è un dettaglio.
Il lettore che è in me, appunto, dice che Parazzoli ha ragione.
Poi arriva lo scrittore e la questione cambia.
Senza ricominciare un discorso fatto molte volte sulla crisi dell’editoria, è indubbio che guardare le vendite dei libri faccia nascere parecchie domande. Doctor Sleep, per fare un esempio, perde il 70% delle vendite in poche settimane, il libro più venduto della settimana vende (quando va bene) il 20% del suo omologo di 5 anni fa – una cifra che allora, per un megaseller, sarebbe considerata un flop -, le vecchie e oneste 15mila copie di venduto sono diventare 3mila e in cima alla lista spuntano brillanti operazioni di marketing alla Friedman o nomi noti per cause che quasi sempre non hanno nulla a che fare con la scrittura.
In questo quadro i conti non tornano per nessuno, le scelte editoriali sono subordinate al marketing e il conto economico di un libro si chiude su se stesso quando, addirittura, non serve a tamponare le voragini di bilancio o a crescere in disparte per i successivi e spesso lunghi tempi di magra.
Non è così strano, quindi, che si rincorra il megaseller o comunque il libro che può raggiungere il pubblico più vasto possibile.
Lasciando perdere per semplicità le cause che hanno portato a una disgrazia come questa e spostandomi dalla parte di chi scrive, so che quella semplicità di cui si lamenta giustamente Parazzoli è richiesta sempre più spesso allo scrittore e si deve declinare per forza di cose in storie già sentite, ricerca del grande pubblico, lingua il più possibile semplice per non dire banale, dialoghi che rendano chiaro fin da subito chi parla, con chi e dove. Un contesto in cui sorprendere chi legge o caricare la pistola nella roulette russa è di fatto impossibile.
Quando la storia e la lingua scendono al livello del lettore della domenica è impossibile sparare quel colpo o, se lo spari, utilizzi un proiettile di zucchero a velo.
Oggi, credo, sarebbe difficilissimo pubblicare Il tempo infranto, almeno con il peso che ebbe nel 2008. Troppo lungo, troppo complesso, troppe storie, troppa attenzione richiesta a chi legge, poco appeal da parte del grande pubblico verso l’argomento.
A leggere Anobii, per altro, si potrebbe pensare che la semplicità sia una mossa vincente e che gli editori abbiano ragione. Per usare un caso personale, di un mio romanzo un utente ha scritto che i dialoghi erano difficili da interpretare, con conseguente voto basso. Lo stesso utente ha dato 2 alle città invisibili di Calvino. Ricordo con divertimento un altro utente che disse di Desiati “ha un certo talento” e alcune polemiche (spero alcoliche) sull’eccessiva lunghezza dei promessi sposi.
Intendiamoci, non è impossibile caricare quella pistola e giocare con la roulette, ma di quella pistola è molto difficile far sentire il suono dell’esplosione.
Se scrivere è un lavoro (e lo è, non pensate nemmeno per un momento che non lo sia) e il datore di lavoro richiede un prodotto fatto in un certo modo, le possibilità sono due: adeguarsi o prendere atto delle conseguenze.
Che sono, col tempo che passa, sempre più evidenti e riassumibili, in estrema sintesi, nella marginalità.
Economica e non solo.
Perché se è vero che gli editori hanno richieste stringenti, molto diverse fra italiani e stranieri e sempre più legate a logiche di ampio mercato, è altrettanto vero che i lettori stanno sparendo e che guardare le vendite dei romanzi mostra con chiarezza che cosa viene premiato e cosa no. Intendo con numeri interessanti per tutti. Numeri che giustifichino un ritorno alla qualità.
Stoner, per fare un esempio recente, ha venduto molto bene ma non ha intaccato i conti del suo editore, sia in valore assoluto, sia per il tempo che ha impiegato per arrivarci. E Stoner è forse l’unico caso editoriale di quel peso in un anno.
Si potrebbe obiettare che i lettori stanno sparendo perché non ci sono libri che meritino o perché trovarli è sempre più difficile. Sarebbe tutto vero. Ma non cambierebbe la sostanza. I lettori per certi libri sono pochi. Molti si sono arresi. Quelli che restano fanno sempre più fatica e sono pochi.
Se accade, e accade, la colpa è di tutti.
Forse, per tornare all’argomento dell’articolo, lo scrittore è il meno colpevole.
Anche volesse sparare quel colpo, se non ci sono lettori e/o editori, la roulette russa rischia di diventare un ululato alla luna, una forma di resistenza o di poetica personale e non più un lavoro, o è un lavoro molto precario, possibile solo se le spalle, dal punto di vista delle bollette, sono coperte da altro, la motivazione personale è molto forte e la vita quotidiana consente lo spazio necessario.
Prendiamoci tutti la nostra parte di colpa, ma cerchiamo di farlo con consapevolezza e sincerità.
Chissà, magari serve a qualcosa.